Chi è Lorenzo Fontana, il nuovo ministro leghista a capo del DPA

Soft Secrets
26 Oct 2018

Identikit del nuovo ministro


Lo scorso 26 giugno, nella giornata mondiale della lotta contro il narcotraffico, il governo Conte, detto anche "del cambiamento", ha reso noto di aver affidato al ministro per la famiglia Lorenzo Fontana l'onere di occuparsi di "droga" in Italia. Nessun proclama ufficiale, solo una nota inequivocabile sulla homepage del Dipartimento per le politiche antidroga: e l'orologio torna indietro ai tempi di Carlo Giovanardi. Perché non è certo possibile definire "cambiamento" questa nomina e perché, allo stato attuale delle cose, Lorenzo Fontana è davvero una pessima scelta, lo vediamo di seguito. Chi è Lorenzo Fontana, il nuovo ministro leghista a capo del DPA Ultracattolico, antiabortista, antifemminista, legatissimo all'estrema destra veronese. Il leghista Lorenzo Fontana si era distinto nel giorno del suo giuramento come ministro per la Famiglia per aver detto che le famiglie arcobaleno non esistono, e da allora è stato un susseguirsi di dichiarazioni a dir poco controverse. Dai richiami ai pericoli insiti nella prolificità dei musulmani fino alla volontà di abolire la legge Mancino sui reati di istigazione all'odio razziale. Questa la persona che il governo giallo-verde, quello che avrebbe dovuto ribaltare le sorti del nostro Paese, ha scelto di mettere a capo dell'organismo nazionale che si occupa di droghe e dipendenze. La "delega" non era ancora stata ufficialmente affidata - il documento in Gazzetta Ufficiale è del 27 giugno - ma Fontana ha voluto portarsi avanti e in occasione della ricorrenza internazionale ha aggiornato la homepage del DPA con un virgolettato che inizia così: "Il fenomeno delle dipendenze da sostanze stupefacenti, che ha assunto ormai proporzioni importanti dovute al progressivo abbassamento dell'età di approccio alla diffusione di sostanze psicotrope sempre più diversificate ed eterogenee, come le 'Nuove droghe', e alla commercializzazione attraverso il web, rischia di attirare sempre più le nuove generazioni". E si chiude così: "È nostra ferma intenzione valorizzare l'importante esperienza del Dipartimento Politiche Antidroga che potenzierà, sia a livello nazionale che internazionale, le azioni di prevenzione, in collaborazione con le amministrazioni centrali e periferiche, per offrire servizi di supporto sempre più capillari sul territorio nazionale". Non male come prima uscita per uno che, nel 2018 - cioè a quasi 30 anni dall'adozione del Testo Unico sulle Droghe -, viene chiamato a occuparsi tra le altre cose, anche di cannabis. Ma a Fontana piace essere diretto, come quando cantava cori nazisti dalla curva sud del Bentegodi, un'altra crapa pelata in mezzo agli ultràs dell'Hellas, gli stessi che fanno pendere dagli spalti manichini di colore impiccati. O come quando, al Parlamento europeo, dove per anni ha seduto assieme a Matteo Salvini, aveva proposto iniziative per "la difesa dei cristiani nei paesi a maggioranza musulmana", "la cristianofobia e la protezione culturale dei beni culturali cristiani in Europa" e "la necessità di assistenza specifica per i rifugiati cristiani". Tutte iniziative, ricordava ironicamente l'Espresso tempo fa, in perfetta osservanza del messaggio di Gesù che disse: bussate e vi sarà aperto. Proprio come sulla famiglia e altri temi connessi alla libertà, il ministro Fontana ha avuto modo di collocarsi tra gli esponenti della destra più becera e reazionaria affermando che "contro la droga ci vuole tolleranza zero" e, riguardo la cannabis: “Mi metto nei panni di un padre o di una madre: avrebbero piacere che i loro figli fumassero? Non credo proprio”. Opinioni politiche e impostazioni culturali a parte, nel ricco curriculum politico e istituzionale del ministro Fontana non si rintraccia alcun interesse, figuriamoci le competenze, per il fenomeno della "droga". Sorprende quindi che l'autoproclamatosi governo del merito, ne affidi la gestione al meno preparato, anche tecnicamente. Eppure il leghista ha le idee chiarissime e ha già pronti i primi tre provvedimenti che intende adottare in seno al DPA: potenziare al massimo l’azione delle forze dell’ordine; contrastare le droghe “fatte in casa,” quelle che secondo lui “chiunque può prodursi in cucina seguendo le istruzioni su Internet”; importare dall’estero “qualche politica antidroga” che “ha avuto successo” (e a meno che non si riferisca al presidente delle Filippine Rodrigo Duterte, non si capisce quale “politica antidroga” abbia avuto questo grande “successo”). Certo, avere un responsabile politico sugli stupefacenti non significa automaticamente aver trovato un modo per risolvere il problema - e dopo anni di reggenza di Carlo Giovanardi si può tranquillamente affermare il contrario - ma persistere nella narrazione proibizionista, sicuramente non solo non ne aiuta la gestione ma lo aggrava anche là dove questo ha trovato forme di autogestione, provando a contrastare l'illegalità diffusa. Tra gli esponenti della Lega ma soprattutto del Movimento 5 Stelle - 12 dei quali avevano sottoscritto in maniera entusiasta la proposta dell'Intergruppo di Dalla Vedova - sicuramente si sarebbe potuto individuare qualcuno di più adatto: Fontana è davvero uno schiaffo a quanto raggiunto, anche a livello istituzionale, negli ultimi 3 anni. A rigor di logica e guardando alle nomine precedenti, la delega alle politiche antidroga sarebbe spettata al Ministro della Sanità o al massimo ad un sottosegretario. Si vociferava infatti che a capo del DPA sarebbe potuta arrivare la pentastellata Giulia Grillo, la quale aveva riscosso consensi nell'accantonare il parere negativo del Consiglio Superiore della Sanità sulla cannabis light (ne parleremo più approfonditamente su Punto legale, a pagina 30). È innegabile che il governo "del cambiamento" abbia voluto mandare tutt'altro segnale. Nello stesso giorno in cui Fontana anticipava il suo premier e si poneva alla guida del DPA, è stato anche presentato - ironia della sorte - il preziosissimo IX Libro Bianco sulle droghe, curato annualmente da varie associazioni tra cui la Società della Ragione, Antigone, Forum Droghe, la CGIL e l'Associazione Luca Coscioni. Nel dossier, scaricabile in forma integrale dal sito fuoriluogo.it, si segnala come nel 2017 siano riprese a crescere le segnalazioni ai prefetti dei semplici consumatori, caduti anche loro nella rete dei maggiori controlli e dell'ossessione securitaria: oltre 40.000 segnalazioni (l'80% per possesso di cannabinoidi), 15.581 sanzioni ma solo 86 richieste di programmi terapeutici. Una potente macchina sanzionatoria - il 30% degli ingressi in carcere lo scorso anno è stato determinato dalla violazione dell’articolo 73 della legge Jervolino-Vassalli - che, stando ai latrati del ministro Fontana, potrebbe tornare ad essere il primo deterrente per scoraggiare l'uso delle droghe da parte dei giovani - farli cioè passare dalle mani forze dell'ordine, per farli poi vergognare davanti a parenti e amici, quando va bene; o fargli rischiare la vita quando va male. La giustizia in quel caso ci mette comunque una pezza - come ha fatto con gli assassini di Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Aldo Bianzino e troppi altri - e, visto il background del neoministro, forse è quello in cui in fondo si spera. È innegabile che la presenza delle sostanze stupefacenti nella società sia un fenomeno sociale e culturale; sicuramente rimangono sacche di consumo problematico ma, se è vero - come ci confermava lo stesso Dipartimento per le politiche antidroga fino all'anno scorso - che in Italia ci sono almeno sei milioni di persone che ne fanno uso abitualmente, mentre il 33% della popolazione le ha provate almeno una volta nella vita, i danni da uso o abuso di "droghe" sono decisamente irrisori. E questo malgrado l'ignoranza e l'indifferenza che in materia regnano sovrane. Ed è proprio perché quella della droga (come quella dell'immigrazione, della delinquenza o del terrorismo) non è un'emergenza quanto piuttosto un fenomeno strutturale, che occorre affrontare a tutto tondo con competenza, dedizione, lungimiranza e soprattutto tenendo fuori dalle decisioni gli ideologi e i crociati del proibizionismo. Ma è evidente che il nostro Paese ha scelto, di nuovo, la strada opposta. Dal canto suo, il ministro Fontana ricorda che “il problema è stato trascurato dalla politica. È ora di invertire la tendenza”. Su questo il leghista ha ragione: dopo l’era di Carlo Giovanardi e del suo braccio destro superproibizionista Giovanni Serpelloni, da anni manca un sottosegretario con delega specifica. Uno scenario che ha portato alla quasi totale assenza di politiche di intervento, per non parlare dell'organizzazione di una conferenza nazionale sulle sostanze stupefacenti, imposta per legge ogni tre anni ma che in Italia manca dal 2009. Ma la legalità che interessa a Fontana, al suo partito e soprattutto al suo leader maximo - quel Matteo Salvini che quotidianamente usurpa online ogni altra carica istituzionale - non è quella della concertazione, dei dati scientifici o del dialogo con i soggetti interessati ma piuttosto quella del manganello o, viste le dichiarate preferenze, quella della ruspa. È soprattutto per questa ragione che non possiamo dirci felici di questa nomina. Anche nel campo delle sostanze stupefacenti, il nostro Paese va chiaramente incontro ad una recrudescenza sia in termini repressivi, ri-ingaggiando una guerra totale alle droghe e soprattutto ai consumatori, sia in termini di corretta informazione e approccio alla riduzione del danno, con una narrazione pubblica riguardo le droghe che attinge solo dalla cultura proibizionista. E il nuovo DPA a gestione Fontana è già in funzione, a pieno regime. La ripresa del dibattito in Italia porta ora il titolo del convegno piacentino organizzato proprio dalla Lega lo scorso 23 luglio: "Cannabis: l'erba della morte". Perdonatemi il francesismo, ma siamo nella merda. Di nuovo.
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