I calcolabili danni dell'ipocrisia

Soft Secrets
15 Mar 2017

Il settimo Libro Bianco sulle droghe è stato dato alle stampe poco prima che la politica si accingesse a discutere il primo vero disegno di legge per la legalizzazione della cannabis. I dati forniti dalle associazioni che si occupano di droga in Italia sono al solito allarmanti e indicano la stringente necessità di una riforma, prima di tutto giuridica. Soprattutto alla luce del fatto che, a quasi 3 anni dall'abolizione della Fini-Giovanardi, il 56,3% delle operazioni di polizia ha ancora per oggetto i soli cannabinoidi.


Il settimo Libro Bianco sulle droghe è stato dato alle stampe poco prima che la politica si accingesse a discutere il primo vero disegno di legge per la legalizzazione della cannabis. I dati forniti dalle associazioni che si occupano di droga in Italia sono al solito allarmanti e indicano la stringente necessità di una riforma, prima di tutto giuridica. Soprattutto alla luce del fatto che, a quasi 3 anni dall'abolizione della Fini-Giovanardi, il 56,3% delle operazioni di polizia ha ancora per oggetto i soli cannabinoidi.
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Il settimo Libro Bianco sulle droghe è stato dato alle stampe poco prima che la politica si accingesse a discutere il primo vero disegno di legge per la legalizzazione della cannabis. I dati forniti dalle associazioni che si occupano di droga in Italia sono al solito allarmanti e indicano la stringente necessità di una riforma, prima di tutto giuridica. Soprattutto alla luce del fatto che, a quasi 3 anni dall'abolizione della Fini-Giovanardi, il 56,3% delle operazioni di polizia ha ancora per oggetto i soli cannabinoidi.

Mentre a Montecitorio la politica italiana ha la prima vera occasione istituzionale di scannarsi sui temi cannabis, legalizzazione e libertà civili, nel resto della penisola la war on drugs – o per meglio dire la war on cannabis – continua instancabile la sua insulsa missione. A raccontarci nel dettaglio lo stato attuale delle cose in termini di cannabis e repressione ci ha pensato l'annuale Libro Bianco sulle droghe, promosso dalla ONLUS Società della Ragione e condiviso da Forum Droghe, Antigone, Cnca e da numerose associazioni e movimenti (CGIL, Comunità di San Benedetto al Porto, Gruppo Abele, Itaca, ITARDD, LegaCoopSociali, LILA. Associazione Luca Coscioni) raccolti nel Cartello di Genova. In Italia un detenuto su quattro entra in carcere perché condannato o accusato di produrre, vendere e detenere sostanze illecite. E quasi un recluso su tre alla fine paga la violazione della normativa sulle sostanze stupefacenti. Numeri che fanno riflettere. Cifre utili a sfatare i pregiudizi su usi, consumi e diffusione delle sostanze stupefacenti, come spiega l’introduzione del documento. Dati che confermano “il peso insostenibile sulla giustizia e sul carcere della legge antidroga”. Nel 2015 si sono registrati 45.823 ingressi totali negli istituti penitenziari italiani. Di questi, 12.284, pari al 26,8%, sono quelli ottenuti in violazione del celeberrimo articolo 73 della legge antidroga (detenzione di sostanze illecite). Quello che però colpisce è il trend decrescente: rispetto al 2009 si sono più che dimezzati gli ingressi complessivi e quelli in violazione della normativa sulle sostanze stupefacenti. Tra il 2008 e il 2015 gli ingressi in carcere sono diminuiti del 50,62%, quelli per il reato di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti sono calati di oltre il 57%. Per gli autori del Libro Bianco, è la dimostrazione che “il sovraffollamento penitenziario, così come le possibilità di contenerlo, sono strettamente legati alle scelte sulle politiche antidroga”. Nel frattempo, i detenuti per violazione della legge antidroga attualmente censiti nelle carceri sono 16.712, il 32,03% del totale. Altro dato comunque in calo: nel 2010 erano 27.294, pari al 40,16% della popolazione carceraria, più dei due terzi del totale. Come hanno giustamente fatto notare gli autori della ricerca sugli effetti penali e sanzionatori della legislazione proibizionista, Stefano Anastasia e Maurizio Cianchella, dando un'occhiata ai dati non si può non sottolineare l’effetto trainante avuto dal calo degli ingressi per violazione della normativa antidroga sulla diminuzione degli ingressi totali nelle carceri. Nonostante le molteplici occasioni sprecate dalla politica e dalla magistratura per mettere mano al problema, la percentuale di ingressi ex art. 73 è la più bassa da 10 anni a questa parte, a testimonianza del fatto che la legge sulla droga fa il bello e il cattivo tempo quando si tratta di processi di carcerizzazione in Italia: quando la tendenza è all’incremento, è la legge sulla droga che guida la volata; quando la tendenza è al decremento, è sempre la legge sulla droga che mette il freno. Se tra il 2008 e il 2015 gli ingressi in carcere sono diminuiti del 50,62%, quelli per il solo reato di detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti sono diminuiti del 57,44%. Attenzione però, se il dato è così decrescente il merito è soprattutto dell'avvenuta abolizione della Fini-Giovanardi e non per un effetto delle sue politiche di presunta prevenzione. La domanda sorge allora spontanea: qual è il peso reale delle politiche antidroga sulla giustizia? Stando a quanto affermano le ricerche pubblicate sul Libro Bianco, nel 2015 le operazioni di polizia in materia di stupefacenti sono state oltre 19.000, più di 27.000, invece, le segnalazioni all’autorità giudiziaria. Anche stavolta stupisce un dato. La cannabis e i suoi derivati sono le sostanze più frequentemente interessate dal fenomeno. Il 56,31% delle operazioni di polizia hanno per oggetto i cannabinoidi. E così il 48,20% delle segnalazioni all’autorità giudiziaria. Su 27.718 segnalazioni, solo 2.286 contestano l’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. “Nel restante 91,75 per cento dei casi - si legge - abbiamo a che fare con detentori di sostanze di cui non è neanche sospettata l’appartenenza a organizzazioni criminali dedite al traffico di sostanze stupefacenti”. Questo è il risultato, secondo gli autori del Libro Bianco: “I cannabinoidi costituiscono, dunque, il principale impiego di energie e risorse dell’apparato di polizia e giudiziario impegnato nella repressione penale della circolazione di sostanze stupefacenti illegali”. E questo a dimostrazione (o per meglio dire a dispetto) del fatto che, anche nel 2015 e quindi superata la Fini-Giovanardi, le segnalazioni per articolo 73 siano state di gran lunga più numerose rispetto a quelle per articolo 74, che punisce gli appartenenti a organizzazioni criminali dedite al traffico illecito di sostanze stupefacenti. Come abbiamo scritto più volte, il dato fornito dagli autori della ricerca testimonia l’orientamento decisamente repressivo anche dell'attuale legge sulle droghe, rivolto verso i “pesci piccoli”, piuttosto che verso le vere associazioni criminali. Anzi, si può dire che in un certo senso le favorisca, ripulendo il mercato da tutti i possibili competitor meno esperti e mantenendo dunque una situazione di oligopolio che tiene alti i prezzi. Questo paradosso è noto agli studiosi come Darwinian trafficker dilemma ed è facilmente spiegabile con la situazione per cui, il proibizionismo crea in realtà le condizioni perfette affinché le mafie e i narcotrafficanti più organizzati (e più pericolosi) diventino ancora più ricchi e ancora più potenti. Insomma, più che un dilemma, una certezza. Se infatti guardiamo al numero delle persone sottoposte a procedimento penale per detenzione o per appartenenza a organizzazioni criminali dedite al traffico di sostanze stupefacenti, possiamo vedere una significativa novità registrata tra la fine del 2014 e metà del 2015: al 30 giugno dello scorso anno, erano 158.690 le persone sottoposte a procedimento penale per violazione dell’art. 73 del testo unico sulle sostanze stupefacenti, 43.828 per violazione dell’articolo 74. Se il dato relativo alle imputazioni di appartenenza a organizzazioni criminali è relativamente costante, quello relativo alla detenzione di sostanze stupefacenti ha subito invece rispetto al 2014 una riduzione, in termini assoluti, di circa 16.000 unità, pari al 9,17% dei soggetti sotto processo. Un dato che a tutta prima può apparire consolante ma che, osservato sulla pura base delle proporzioni, racconta una realtà ancora drammatica: praticamente a processo, in media, ci si finisce tre volte più facilmente quando si consuma piuttosto che quando si spaccia. Volendo guardare ancora più “in basso”, verso la casistica che interessa solo la parte amministrativa e che quindi non prevede pene detentive, il dato che riguarda la cannabis non può non confermare la situazione di “caccia alle streghe” che ancor oggi attanaglia i consumatori italiani. Alla data del dicembre 2014, le persone segnalate ai prefetti per detenzione a uso personale di cannabinoidi sfiorano la soglia dell’80% del totale. In pratica il 78,99% delle segnalazioni ai Prefetti della penisola, riguarda il famigerato articolo 75 del DPR 309/90. Le segnalazioni al Prefetto hanno dato luogo a 13.509 sanzioni amministrative e a 151 richieste di sottoposizione a programma terapeutico-riabilitativo, confermando di nuovo la natura principalmente sanzionatoria (e lucrativa) della segnalazione al prefetto dei consumatori di sostanze stupefacenti. Ora, considerato lo stato penoso in cui versano le nostre carceri e i nostri tribunali, tenuto a mente il richiamo fatto dalla Direzione Nazionale Antimafia e visti infine i nudi e crudi numeri della statistica, cosa frena davvero la politica dall'approvare in fretta il disegno di legge sulla legalizzazione? Cosa, se non l'ipocrisia del fronte cattolico-conservatore? Un atteggiamento fastidiosamente paternalistico, che pretende di tutelare la salute dei cittadini e il futuro dei giovani ma preferisce delegare la produzione e il commercio di una sostanza naturale alle narcomafie, esperte più nel taglio che nella coltivazione. Una rappresentanza politica che non rappresenta e non tiene conto dei milioni di italiani che hanno apertamente dichiarato di far uso di cannabis. Una rappresentanza sorda al buon senso e talmente arroccata sulle sue posizioni medievali da non essere nemmeno in grado di discernere tra legalizzazione e liberalizzazione – alla vigilia della discussione parlamentare la ministra Beatrice Lorenzin, in quota AP , ha ribadito la sua contrarietà alla “liberalizzazione”, probabilmente inconscia del fatto che tra liberalizzare e legalizzare corre una fondamentale differenza, che è appunto il limite imposto dal legislatore. Come ha scritto, non troppo ironicamente, lo scorso 25 luglio il blog satirico Sponoza.it “Non è curioso che in questo istante un gruppo di cocainomani stia decidendo se sia morale o no legalizzare la cannabis?”. Ora che la discussione è nel vivo ed è finalmente diventata ufficialmente pubblica, chi vuole proibire e reprimere l'uso della cannabis lo fa ormai solo ed esclusivamente sulla base di posizioni ideologiche – o d'interesse - che provocano danni nei confronti dell'intera comunità Paese. Perché è fuori da ogni ragionevole dubbio che la marijuana legale sarebbe più controllata, meno rischiosa, e porterebbe una valanga di soldi nelle nostre disastrate casse pubbliche. Un Parlamento dovrebbe decidere e legiferare ciò che è meglio per il bene pubblico. E una cannabis legalizzata per uso ricreativo e non solo curativo, farebbe finalmente pendere la bilancia dalla parte dell'interesse collettivo. La nostra paura è che saremo ancora per molto costretti ad usare il condizionale. Autore: Giovanna Dark
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