Marijuana per la terza età

Soft Secrets
01 Oct 2013

Il proibizionismo ha reso la marijuana una droga per giovani », sostiene l'attivista olandese Wernard Bruin, in quanto con la loro spregiudicatezza sono più disposti a infrangere una legge che ritengono ingiusta, perché vieta una sostanza che considerano innocua, e ciò sta crescendo intere generazioni abituate all'illegalità e che non credono nel Governo.


Il proibizionismo ha reso la marijuana una droga per giovani », sostiene l'attivista olandese Wernard Bruin, in quanto con la loro spregiudicatezza sono più disposti a infrangere una legge che ritengono ingiusta, perché vieta una sostanza che considerano innocua, e ciò sta crescendo intere generazioni abituate all'illegalità e che non credono nel Governo.

Il proibizionismo ha reso la marijuana una droga per giovani », sostiene l’attivista olandese Wernard Bruin, in quanto con la loro spregiudicatezza sono più disposti a infrangere una legge che ritengono ingiusta, perché vieta una sostanza che considerano innocua, e ciò sta crescendo intere generazioni abituate all’illegalità e che non credono nel Governo.

Le statistiche, infatti, parlano chiaro e i giovani scelgono sempre più la marijuana per distrarsi dalla quotidianità, preferendola alle droghe pesanti e a quelle sintetiche. Secondo la relazione 2013 del Dipartimento alle Politiche Antidroga italiano, calano i consumi di eroina, di cocaina e allucinogeni, mentre aumenta quello di cannabis: i consumi delle droghe calano, cioè, giusto perché aumenta quello di cannabis in sostituzione. In particolare, tra i giovani nella fascia d’età compresa tra i 15 e i 19 anni, il 21,43% ha dichiarato d’aver consumato marijuana 1 o più volte negli ultimi 12 mesi.

Finché si resta nei termini di consumo saltuario, la cosa non rappresenta ovviamente un problema. Un consumo quotidiano e regolare di cannabis durante la fase di sviluppo, fino ai ventun anni, invece – sebbene preferibile a quello di alcol, tabacco o altre sostanze illegali – non è comunque idoneo alla salute dei ragazzi (nei giovani, per esempio, rende più fragili le tibie).

Il proibizionismo, invece, relega l’assunzione di marijuana ai giovani, con la pretesa che poi, crescendo, il consumo venga interrotto per dedicarsi alle cose serie della vita. In realtà, tutto ciò è una colossale balla e solo dopo i ventuno anni il consumo di cannabis può iniziare ad essere svolto con una certa regolarità, anche in un'ottica preventiva nei confronti delle malattie – per contrastare patologie e per correggere eventuali squilibri fisiologici creati dai malesseri. Fino a vent’anni, d’altro canto, la maggior parte delle persone sta bene, e solo con l’età adulta sorgono i primi acciacchi e un interesse per la spiritualità, che a quel punto diventa un fattore chiave per la salute. La cannabis, olisticamente, serve proprio a correggere gli sbilanciamenti spirituali, e questo le permette di curare le malattie.

In teoria, quindi, il consumo di cannabis dovrebbe seguire la progressione della vita, essere limitato occasionalmente al solo uso medico nella gioventù, per poi crescere con l’aumentare delle necessità, quindi dell’età, accompagnando la persona, religiosamente (in termini induisti), verso il Paradiso, grazie al dono di una vecchiaia felice, serena e di una morte senza dolore. Questo, sia chiaro, avviene trovando la cannabis più adatta alle proprie esigenze e consumandola pura e responsabilmente. Solo così, anche un semplice pensionato annoiato può modificare le priorità volute dalla società senza canapa, che gl’impongono di starsene tranquillamente sul divano, e dedicarsi a una delle innumerevoli attività che gli passano per la mente sotto effetto della marijuana.

È un farmaco eccezionale per vari acciacchi, da quelli comuni come il raffreddore – quando il livello di cannabinoidi presenti nella ganja è basso –, fino ad arrivare al cancro, quando ingerita sotto forma di olio concentrato estratto dai fiori, con altissime quantità di principi attivi. È quindi particolarmente adatta agli anziani, specialmente quelli attuali, che non hanno avuto la possibilità di consumarla in gioventù a causa del divieto. Diversi studi hanno dimostrato come gli hippies americani che avevano consumato cannabis durante la giovinezza, non abbiano poi sviluppato malattie come il Parkinson e l’Alzheimer nella vecchiaia.

Il progresso ha allungato la vita, ma sottoposto a sofferenza ed è quindi un obbligo morale ridonare qualità all’esistenza con la cannabis. La cannabis è sempre più utile invecchiando, semplicemente perché il corpo tende a ossidarsi, a seccarsi e la marijuana, con il suo richiamo a bere liquidi, per la sete innescata dal consumo, non fa altro che oliare l’organismo, rendendolo più fluido, facilitando quindi un sano invecchiamento. L’acqua è vita, si sa, e allora perché non la cannabis, che per sua natura spinge a berla?

Eppure, come recentemente rilevato da una ricerca del Geriatrics Working Group (GWG) dell’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), in collaborazione con l’Università Cattolica-Policlinico A. Gemelli di Roma, e pubblicata sul Journals of Gerontology Series, gli anziani italiani assumono mediamente dai 5 ai 9 farmaci al giorno. Su oltre 12 milioni di italiani over 65, oltre la metà prende 9 farmaci, oltre l’11% supera i 10. Per la maggiore vanno i farmaci per l’ipertensione, la depressione, l’osteoporosi e gli anti-diabetici (tutte patologie prevenibili con la cannabis), che assunti contemporaneamente creerebbero effetti collaterali devastanti anche in un giovane, figuriamoci in un anziano. Secondo lo studio, ad esempio, l’assunzione di 2 o più farmaci per l’alterazione del ritmo cardiaco pone a rischio 36mila anziani, l’uso contemporaneo di tre farmaci pro-emorragici pone a rischio di sanguinamento 22mila persone, mentre l’impiego di tre farmaci dannosi per i reni pone a rischio d’insufficienza renale ben 85mila persone anziane. Tutti questi farmaci, poi, presi a lungo, potrebbero proprio essere la causa di malattie come il Parkinson e l’Alzheimer – dove la cannabis risulta ottima per fermare i tremori e nel migliorare la memoria, in particolare quella episodica legata agli eventi piacevoli, per il proseguo della vita.

Nel rispetto degli anziani, la cannabis tiene a bada gli effetti collaterali dei farmaci, anche della morfina, e potrebbe sostituirne molti, per non dire tutti, in certi casi. Un solo farmaco – anziché una decina – per una terapia dolce priva di effetti indesiderati che, se assunto in giuste dosi, solleverebbe dignitosamente le sorti degli anziani e di chi se ne prende cura.

In particolare, la cannabis è l’ideale per l’anziano, oltre che per il malato, perché si tratta di soggetti con mobilità ridotta. È noto come il corpo umano produca endocannabinoidi analoghi ai cannabinoidi della cannabis e che ciò avvenga, per esempio, svolgendo dell’attività fisica. È dimostrato come anche soli 30-40 minuti di camminata possano aumentare incredibilmente i livelli di endocannabinoidi nel corpo. Questi endocannabinoidi hanno funzioni farmacologiche analoghe a quelle della cannabis, innescando appetito, relax, sonno e ovviamente un effetto antidolorifico. Una persona giovane e sana può quindi sempre dedicarsi all’attività fisica per migliorare il proprio stato di salute, attivando il sistema endocannabinoide, mentre un anziano, a meno che non sia in gran forma, raramente ha le forze per mettersi a fare jogging.

L’anziano potrebbe quindi essere assalito da diverse paure: sensazione di non farcela, di soffrire, di star male, di non guarire, di non poter tornare come prima o, per esempio, di non avere le forze sufficienti per vivere. Questo tipo di paure sono quelle cui la cannabis può porre rimedio, garantendo un buon sonno, per esempio, quindi la possibilità di un risveglio con le energie per affrontare la vecchiaia. Garantisce poi appetito, che altrimenti l’anziano perde per mancanza di movimento. Un buon riposo e l’appetito son la chiave per la salute, ma c’è di più, perché la cannabis, così come gli endocannabinoidi, sensibilizza le viscere e, consumata con consapevolezza, porta pure a scegliere cibi sani, a evitare l’abuso di caffè, alcol e sigarette, a svolgere attività fisica e meditazione, quindi a tutta una serie di buone abitudini utili per invecchiare bene.

Ovviamente gli anziani potrebbero trarre beneficio anche dalla semplice alimentazione dei prodotti derivati dai semi di canapa, da considerarsi nutrizionali e farmacologici allo stesso tempo. La farina di semi di canapa, per esempio, è gran apportatrice di potassio (730 mg. in 100 gr. di peso). Con il potassio assunto, favorito anche dall’assunzione di marijuana tramite inalazione, il corpo può sopperire ai tipici effetti della sua mancanza, che spesso caratterizzano la terza età: confusione, debolezza muscolare, riflessi ritardati, inappetenza, fino alla paralisi. 

Questi sintomi – tipici soprattutto del periodo autunnale e invernale che sta per giungere, quando la mancanza di luce può togliere ai più deboli il buon umore – possono quindi essere risolti dalla cannabis. Risolvendo questi sintomi classici della mancanza di potassio, scompaiono pure le paure, così come gli antichi culti induisti del Dio Shiva associavano la cannabis al concetto del non temere. L’importante è non esagerare con l’assunzione di cannabis, ma sapersi regolare, altrimenti, troppo potassio può a sua volta generare debolezza e confusione, ma anche pesantezza muscolare, fino al rischio di far giungere al collasso cardio-circolatorio, risolvibile slacciando gli eventuale bottoni e cinture e mettendosi sdraiati con le gambe su un rialzo.

Ovviamente, medici e farmacisti, fossero realmente informati, potrebbero evitare certe situazioni, grazie a una corretta posologia indicata al paziente. Quello che manca alle leggi attuali è proprio di risolvere quest’ignoranza dei curanti. Oggigiorno, però, con un poco di buona volontà, il medico e il farmacista, come chi non conosce la cannabis, può nuovamente iniziare ad avvicinarsi alla canapa, partendo dall’assunzione di olio di semi, senza THC, ricco di vitamine, Omega 3 e 6, riprendendo così confidenza con questa antica cultura medica.

Con il semplice olio di semi di canapa si possono risolvere molti problemi dell’anziano, diminuire o interrompere l’assunzione di farmaci come quelli per il colesterolo, che generalmente si manifesta con l’età, e riequilibrare l’esistenza di moltissime persone.

Se poi proprio servisse, la marijuana da resina ricca di cannabinoidi, può sicuramente risultare utile in malattie neuro-degenerative come l’Alzheimer, il morbo di Parkinson e la malattia di Huggtington, grazie al suo effetto rilassante e rigenerante delle cellule celebrali.

La marijuana usata per guarire la persona, permette di provare il paradiso farmacologico naturale, in sintonia con l’Universo (Dio per i religiosi), differente da quello artificiale innescato dai farmaci di sintesi, capaci di anestetizzare tutto, non solo il dolore, ma anche le emozioni, “zombiezzando” alla lunga le persone. Non che le medicine di sintesi non possano essere utili, anzi, ma nel mondo non distorto dal proibizionismo, dovrebbero essere l’alternativa alla marijuana e non il contrario.

Quest’estate, tra l’altro, il rabbino ortodosso Efraim Zalmanovich, della città israeliana di Mazkeret Batia, ha dichiarato Kosher, in sintonia con Dio, cioè, l’uso medico della cannabis, dando il primo segno d’apertura da parte delle grandi religioni patriarcali di questo mondo. Guarda caso, in Israele la cannabis è data agli anziani sopravvissuti all’Olocausto, esistono varietà per la mattina, il pomeriggio e la sera, con nomi come “Raggio di luce”, che rendono bene l’idea del suo effetto sulla depressione, ed è fornita al prezzo di 2,5 dollari al grammo, grazie ad una produzione nazionale. 

Come dicono da sempre i rastafariani, quindi, la marijuana è adatta a trovare l’armonia con Dio. Poi un giorno ci diranno pure che molte delle grandi religioni derivano probabilmente da culti cannabici, che Cristo utilizzava la canna odorifera per i suoi miracoli e che Dio è femmina, come i fiori femminili di cannabis che permettono di entrare in sintonia con l'universo, e a quel punto la salute pubblica ne avrà un beneficio enorme.

La reintroduzione della marijuana terapeutica procede quindi lentamente, per cotanta ignoranza peninsulare, ma in modo sano. In Italia il medico può prescrivere la cannabis su ricetta bianca, lo specialista ospedaliero può farla importare gratuitamente dall’Olanda e, da quest’autunno, il Sativex, per i malati di sclerosi multipla con spasmi, sarà il primo farmaco cannabinoide commercializzato sul suolo nazionale, ma le prescrizioni sono ancora nell’ordine di un solo centinaio (in Israele sono passate dalle 200 nel 2005 alle 10.000 del 2012). Con il decreto del 23 gennaio 2013, tra l’altro, firmato dal Ministro della Salute Balduzzi del governo Monti, i derivati vegetali della pianta di cannabis sono stati inseriti nella Tabella 2B. Ciò permette ai farmacisti di preparare tinture, estratti fluidi, oli concentrati, che possono far presa anche sulle persone più anziane. Una tintura da prendere a gocce non discosta molto dalle abitudini mediche dei nostri nonni e potrebbe trasformarsi facilmente in una medicina assunta volentieri, priva dell’effetto psicoattivo derivato dalla combustione tipica dello spinello.

Quel che resta da fare a quest’esercito di malati, diversamente abili, anziani in difficoltà e gente con la fede rotta, quindi, è insistere affinché l’intera pianta di cannabis sia naturalmente introdotta nella Tabella 2B, in modo sia coltivabile e commercializzabile pure in Italia. 

(Prima d’intraprendere la cura rivolgersi all’Associazione Cannabis Terapeutica, www.medicalcannabis.it)

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