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23 Oct 2015

Cosa c'è davvero dentro quello che fumiamo


Cosa c'è davvero dentro quello che fumiamo

Quando c'è proibizione, c'è spaccio e quando c'è spaccio, c'è taglio. Questa la regola aurea che (ahinoi!) tutt'ora tiene in piedi il maestoso e ultra-miliardario impero del narcotraffico. Acquistare hashish o marijuana per strada – ma anche dal pusher di fiducia – comporta ancora oggi un rischio in termini di salute, oltre che legali. Usate per aumentarne il peso o modificarne l'effetto, le sostanze da taglio sono purtroppo una realtà ben ancorata a quello che fumiamo ogni giorno. Ecco un piccolo compendio di quelle che sono state analizzate e scoperte fin'ora.

Nel belpaese si fa un gran parlare di legalizzazione della cannabis e di come quasi tutti ormai l'abbiano provata almeno una volta, magari godendosela. Allo stato attuale delle cose, però, sia la coltivazione che l'acquisto rappresentano attività illecite e penalmente perseguibili, col risultato che il 99% dell'approvvigionamento di hashish e marijuana – fatta eccezione per le rarissime prescrizioni mediche – avviene sulle piazze del mercato nero. Comperare erba e fumo per strada o dal pusher di fiducia è però sempre e comunque un azzardo: vista la totale mancanza di controlli, è quasi assicurato che il prodotto non sia di qualità. Certo, l'high c'è comunque, ma assieme al THC il nostro corpo finisce per assorbire sostanze che, primo, non dovrebbero stare li e, secondo, potrebbero essere altamente nocive per il nostro organismo.

Esistono tonnellate di leggende metropolitane su cosa finisca dentro quello che ci fumiamo. Tante volte sono esagerazioni a favore di pubblico (molto poco pensante) – come ad esempio la celeberrima cannabis tagliata con eroina (sic!) – ma per la maggior parte le voci sono vere e le sostanze da taglio rinvenute all'interno di campioni analizzati dalle sparute associazioni volontarie e dai ricercatori prezzolati del fu DPA, hanno di che far accapponare la pelle.

Un’ulteriore prova di come il proibizionismo della cannabis sia nocivo anche e soprattutto per la salute pubblica: vietando l’autocoltivazione di cannabis ed imponendo ai consumatori di rivolgersi al mercato illegale lo Stato abdica platealmente all'articolo 32 della Costituzione che recita chiaramente “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo ed interesse della collettività”. Ed anche una prova della mancanza di controlli seri in Italia, dove ogni giorno vengono dilapidate risorse pubbliche per reprimere consumatori e piccoli coltivatori di cannabis, ma non vengono effettuati controlli sulle tipologie di prodotto rintracciabili sul mercato dello spaccio né vengono attuati programmi per informare sui rischi reali dell’assunzione di queste tipologie di droghe leggere, che evidentemente, più che sulle inesistenti percentuali di THC al 60% vaneggiate da Giovanardi, si ritrovano nelle sostanze da taglio che le mafie utilizzano per aumentare i guadagni.

Perché è tutta una questione di business in fondo. Da che mondo è mondo, la grande piramide del narcotraffico campa sulla “diluizione”del prodotto e sul guadagno extra che ad ogni gradino se ne ricava. È possibile ipotizzare, ad esempio, che da un kilogrammo iniziale di marijuana si possa ricavare cinque volte tanto, portandola al raddoppio effettivo del peso in almeno 4 passaggi di livello, dal “pesce grosso” allo spaccino di piazza. Tutte le droghe illegali vengono tagliate, senza nessuna eccezione e anche più di una volta, nei vari passaggi dal produttore al consumatore.

Tagliare la droga assolve infatti a tre specifiche funzioni necessarie alla sopravvivenza del mercato nero:

  1. aumentarne il volume, il peso e quindi moltiplicare i proventi ricavati dalla vendita della sostanza;
  2. migliorare gli effetti della sostanza stessa, quando questa è di bassa qualità e di conseguenza stabilizzare la domanda, se non addirittura crearla;
  3. alterare il composto in modo che questo sia meno riconoscibile dai controlli, soprattutto cinofili, delle forze dell’ordine preposte.

Le analisi effettuate nei campioni di strada, cioè i pochi grammi sequestrati a poveri ragazzini o a semplici sprovveduti dalle forze dell’ordine nei loro controlli di routine, dimostrano la presenza di numerose sostanze da taglio che, più specificatamente, possono essere divise in 4 macrogruppi.

  • Diluenti: tutte quelle sostanze che aumentano il volume complessivo della preparazione, aumentandone di conseguenza il peso;
  • Adulteranti: sostanze che hanno un proprio effetto farmacologico aggiuntivo e finiscono per modificare sensibilmente l'high o comunque la percezione psicofisica della sostanza;
  • Impurezze d'origine: le sostanze naturali presenti nella droga vegetale, da cui si ottiene, per via sintetica, la sostanza stupefacente;
  • Impurezze di sintesi: tutti i prodotti derivanti dal processo di sintesi o prodotti da esso, diversi dal principio attivo della sostanza lavorata.

Dalle analisi effettuate, dal 2007 al 2013, sui campioni di hashish e marijuana sequestrati, risulta che in essi sono contenuti, oltre al suo composto principale (il delta9-THC), alti livelli di contaminanti biologici, tra cui batteri Aspergillus, che potrebbero condurre alla polmonite fulminante, soprattutto negli immunocompromessi. Sono presenti anche contaminanti non biologici, tra cui metalli pesanti come alluminio e cadmio, i quali possono provocare malattie respiratorie accumulandosi nei fluidi polmonari, causando reazioni infiammatorie e attività pro-ossidante.

In alcuni casi nella marijuana è stato trovato il “paraquat”, un pesticida tossico per le vie aeree, in grado di alterare la membrana alveolare e causare l’ARDS (Sindrome da Distress Respiratorio Acuto), con ipossiemia e insufficienza respiratoria. Infine, sono state trovate nei campioni di hashish la paraffina e microsfere in vetro o sabbia, aggiunte per aumentare il peso e che possono causare, una volta inalate, reazioni infiammatorie, con conseguente danno alla mucosa orale, ulcere della bocca, epistassi, mal di gola, tosse e polmonite secondaria all’inalazione.

Lo scorso anno anche la televisione svizzera si è occupata di questa problematica e in un servizio trasmesso su TeleTicino ha portato allo scoperto i danni collaterali del proibizionismo. Intervistando anonimi fumatori che hanno accusato nausea, dolori e difficoltà respiratorie sopraggiunti dopo aver fumato, la tv elvetica ha parlato di erba che viene “coltivata con pesticidi, poi imbevuta in acetato di piombo per aumentarne il peso, coperta di lana di vetro per simulare la cristallizzazione del fiore ed infine spruzzata con la lacca per tenere insieme il tutto”. Alla faccia delle droghe leggere....

C'è poi la leggenda metropolitana, rivelatasi però assolutamente fondata, che la cannabis proveniente dai Balcani, in special modo dall'Albania, sia in realtà imbevuta nell'ammoniaca. Stando a quanto dicono i bene informati, prima di tagliare le piante, i coltivatori gettano ammoniaca sul terreno, che viene assorbita dalle radici, facendo seccare molto più rapidamente la pianta, e amplificandone gli effetti psicoattivi e quelli purtroppo collaterali. Per i gli operatori del mercato nero accelerare il processo di essiccazione è importante: far seccare le piante in modo "naturale" richiederebbe settimane, con i problemi ed i rischi relativi alla gestione del prodotto in tale periodo, mentre imballare erba ancora fresca potrebbe provocare muffe che deteriorerebbero il prodotto, rovinandolo o almeno deprezzandolo. Ma l'ammoniaca viene utilizzata anche per amplificare gli effetti dell'erba di scarsa qualità, sempre proveniente dall'est. La marijuana viene immersa nell'ammoniaca e fatta seccare nuovamente. Anche se il tenore di THC dell'erba in questione è molto ridotto, grazie agli effetti dell'ammoniaca, al consumatore sembrerà di migliore qualità rispetto a quella effettiva, almeno in termini di sballo.

Per quanto riguarda l'hashish, invece, fonti meno ufficiali parlano di tagli effettuati con vasellina, paraffina, henné, lucido da scarpe, cera d’api e miele. Personalmente posso dire di aver assistito ad un tipo di taglio dell'hashish che definirei, perlomeno, onesto. Mi trovavo nella cucina di un amico che doveva ammortizzare le perdite di quello che si era fumato da solo. L'amico aveva una ventina di grammi di quello che mi pareva essere Charas – o comunque uno di quegli hash belli morbidoni – e dei rimasugli del classico fumo commerciale e aveva deciso di “rimpolpare” il prodotto di qualità farcendolo letteralmente con quello da poco: sciolta la Charas a bagnomaria, aveva quindi aggiunto i pezzetti del fumaccio commerciale e, dopo averlo impastato manco fosse la base di una Saint Honoré, lo ha lasciato raffreddare e ricompattarsi. Lui rideva, “two gust is megl' che one” diceva. Chissà se i suoi clienti hanno apprezzato...

Insomma, nell'era del bio, della filiera corta e dei marchi di qualità anche sulla carta igienica, non ci si può nemmeno più fidare della naturalità del prodotto di una pianta: allo stato attuale delle cose, è quasi impossibile che un composto proveniente dal commercio illegale sia incontaminato. Se infatti il profitto è il fine ultimo e i controlli sulla qualità del prodotto sono pari a zero, dalla “zona grigia” della vendita al dettaglio non ci si può aspettare mai nulla di buono.

Tutte queste sostanze utilizzate a vario titolo per trattare la marijuana e l'hashish e che poi finiscono nel mercato italiano e non solo, danneggiano gravemente la salute dei consumatori, in molti casi giovani, specialmente quando il consumo è frequente o abituale. Sostanze la cui inalazione mediante fumo può concretamente provoca rischi sia a livello fisico che psicologico. Anche per questi cruciali motivi la politica e la società civile dovrebbero prendere seriamente in considerazione la proposta fatta dall'intergruppo parlamentare per la legalizzazione della cannabis. «Con 8 milioni di consumatori – spiega l'insospettabile firmataria montiana Adriana Galgano – la legalizzazione è già nei fatti. Da questa situazione lucra la malavita e paga il contribuente visto che il 60% dei processi e dei detenuti è a causa del piccolo spaccio. È giunta l'ora di sottrarre questo traffico alla criminalità e alle mafia e usare i proventi della tassazione per la prevenzione».

Dietro il velo del proibizionismo e della war on drugs c'è anche la nostra salute. Legalizzare significa migliorare enormemente la qualità del prodotto e, allo stesso tempo, dare un colpo mortale ai signori della droga che da sempre lucrano sulla nostra pelle, prima ancora che sul nostro “diritto allo sballo”, come impropriamente viene chiamato. Speriamo che questa sia la volta buona.

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