Report: International Farmers in Marocco

Soft Secrets
16 Jan 2012

Abbiamo deciso di andarcene da un paese obbligato ad essere bigotto, repressivo, lesivo di tutti i diritti del cittadino e dove il regime è imposto da criminali.


Abbiamo deciso di andarcene da un paese obbligato ad essere bigotto, repressivo, lesivo di tutti i diritti del cittadino e dove il regime è imposto da criminali.

Abbiamo deciso di andarcene da un paese obbligato ad essere bigotto, repressivo, lesivo di tutti i diritti del cittadino e dove il regime è imposto da criminali.

Saremo sempre al servizio della nostra amata pianta, ma con meno paure e più possibilità di dare tutto il nostro tempo al fine di poter finalmente vedere la cannabis riabilitata in pieno.

Dopo la nascita di questa realtà per ora in embrione, International Farmers, ho pensato ai vecchi amici, a chi non vedevo da anni.

Era dall'inizio degli anni '80 che non andavo in Marocco, i vecchi contadini marocchini che conoscevo ogni tanto mi chiedevano notizie, tante volte ho promesso di andarli a ritrovare. Andiamo...

Visto che non potrò andare in India e mi prudono le mani, ho detto ai miei amici che avremo provato a fare un poco di charas, a mano...

Trenta anni fa il Rif era molto più verde. I contadini del posto avevano mucche, pecore, capre, galline, letame e compost e nei campi si faceva rotazione: un anno kif, l'anno dopo grano, poi fagioli, poi tabacco, poi kif di nuovo. Pochi avevano l'auto, i sentieri si percorrevano a piedi e nei bordi dei campi e sui bordi delle strade cresceva l'erba (non il kif). Le piante erano pulite, a volte con un poco di terra/polvere portati dal vento, ma perlopiù l'hashish, se di buona qualità, era pulito. Adesso, dopo che il Marocco si è trovato "obbligato" ad essere l'unico fornitore di hashish per il mondo occidentale, esiste una monocoltura di kif ripetuta negli anni, dove, oltre ad essere quasi impossibile trovare le landraces originali, si è distrutta la fertilità originaria del suolo e si sono create condizioni assolutamente negative per una buona qualità di prodotto finale. La necessità di abbandonare gli altri raccolti e la disponibilità di denaro hanno portato ad abbandonare l'allevamento di animali per la sussistenza, e alla necessità di trovare fertilizzanti alternativi. L'utilizzo di composti di sintesi, i più pubblicizzati per l'agricoltura industriale occidentale, hanno portato ad un impoverimento dello strato organico del terreno, i metodi di semina e di irrigazione "occidentali" invece di migliorare hanno contribuito ad un inaridimento di un terreno che ora è in larga misura soltanto sassi e polvere, con mezzi motorizzati che passano continuamente sulle strade di collegamento e creano nuvole di polvere sui campi.
Questa è la situazione che ho trovato e questo il racconto che gli "international farmers" ci hanno reso.

Siamo già stati diverse volte in Marocco ma questa volta siamo partiti da casa con una missione ben precisa: provare a fare della charas dalle piante marocchine. Appena arrivati a Tangeri, abbiamo affittato la prima auto disponibile per dirigerci verso la nostra meta: la leggendaria Valle del Rif. Arriviamo a destinazione alle prime ore della sera, accolti da un tramonto indimenticabile e dalla calorosa ospitalità dei nostri amici, ignari del nostro arrivo, ma che in breve ci hanno sfamato e sistemato per la notte. La mattina successiva, prima che il sole diventasse insopportabile, abbiamo fatto un sopralluogo nei vari appezzamenti della fattoria per decidere quali piante dovevano essere raccolte per l'esperimento. Questo primo passo è in effetti di primaria importanza per ottenere un buon prodotto, perchè non tutte le piante sono adatte a fare della buona crema.

Premetto che per me questa è stata la prima esperienza diretta sulla produzione della charas con la fortuna di avere Franco come maestro. E' in effetti la mattina il momento migliore per raccogliere le piante prescelte che però non devono essere bagnate di rugiada, che comunque in Marocco svanisce poco dopo l'alba. Ovviamente era una splendida giornata settembrina, fresca e asciutta, perciò iniziamo subito a scegliere una quindicina di piante belle mature, ma non grandi e con cime non troppo compatte. Questo facilita il lavoro perchè dalle cime più aperte e aereose la resina si stacca meglio rispetto a quelle troppo compatte che racchiudono molti tricomi al loro interno e non vengono facilmente a contatto con le mani del charsi. Le cime più grosse devono comunque essere aperte ad una a una per estrarre più resina possibile.

Un'altra cosa importante ho scoperto essere la posizione di lavoro: dopo essersi seduto sotto un albero, Franco ha cominciato a passare le singole cime delle piante raccolte tra le sue mani con gesti veloci, ma delicati e precisi, facendo in modo che le mani fossero sempre esposte al sole per mantenerle calde, così come lo strato di resina che si andava formando e che in questo modo rimaneva morbido e appiccicoso.

È stato incredibile notare la differenza del risultato finale quando successivamente ci siamo spostati da quell'albero per ripararci dal vento: la pallina uscita dalle sue mani dopo lo spostamento era un po' meno lucida e pulita rispetto alla prima.

Subito dopo, Franco ha caricato diversi chilom per assaggiare il prodotto di quella giornata di lavoro e anche gli amici marocchini che ci ospitavano hanno gradito molto la finezza di gusto e l'effetto rispetto al tradizionale hashish battuto.

Il giorno successivo ci siamo rimessi a lavoro di buon mattino e questa volta, messa da parte la macchina fotografica, oltre a Franco anche noi abbiamo raccolto le nostre piantine per provare a fare qualche mano di charas.

Dopo poco anche alcuni ragazzi della famiglia che ci ospitava, incuriositi dal nostro lavoro, hanno iniziato ad aggregarsi e guardando attentamente i gesti di Franco hanno prodotto come noi la loro prima mano di charas, sicuramente non priva di piccoli pezzi di vegetale e non in grandissima quantità ma pur sempre di buona qualità. Lavorare piante fresche, avere una pressione uniforme su tutto il palmo della mano e pulirsi attentamente le mani dopo aver passato ogni singola cima aiuta a tenere più pulito il prodotto e meno "verde", ma questi sono consigli di poco valore se non si può fare pratica e per questo bisogna disporre di un discreto numero di piante. Per fortuna il Marocco è uno di quei pochi posti rimasti al mondo dove questo problema non esiste ed è a due passi dall'Europa, diciamo una buona alternativa al viaggio in India. Continua nel prossimo numero

Questa volta siamo partiti da casa con una missione ben precisa: provare a fare della charas dalle piante marocchine

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