Tutto cambia, niente cambia

Soft Secrets
21 Apr 2017
Non proprio puntuale, anche quest'anno la Realzione al Parlamento sui dati relativi al consumo di sostanze stupefacenti in Italia punta il dito sull'immutato giro miliardario che coinvolge il mercato nero mantenuto in vita dal proibizionismo. “Il mio popolo si fa” cantano gli Afterhours, e per farlo spende delle cifre da capogiro, mentre la giustizia e le forze dell'ordine paiono sempre più accanirsi contro i coltivatori di cannabis. Una fotografia che nella forza disarmante dei suoi numeri, mostra un paese in cui vizio è radicato a dispetto dei continui tentativi di imbrigliarlo in diverse e “più efficaci” leggi. Quattordici miliardi di euro: queste le dimensioni mastodontiche del giro d'affari creato dal consumo di sostanze stupefacenti sul territorio italiano nel solo 2013. Una cifra che corrisponde allo 0,9% del Pil ed è in costante crescita. Nel 2011 per esempio il consumo di droghe ammontava a circa 12,7 miliardi complessivi, mentre due anni dopo gli italiani spendevano per la cocaina 6,5 miliardi, per la cannabis 4 miliardi, per l’eroina 1,9 miliardi e 1,7 miliardi per gli altri tipi di stupefacenti, aumentando di quasi 2 milardi il dato dell'anno precedente. Da una stima approssimativa (e probabilmente al ribasso) sarebbero 6,1 milioni gli utilizzatori di cannabis sul territorio nazionale, 1,1 milioni invece gli assuntori cocaina, 218 mila di eroina, e 591 mila coloro che utilizzano altre sostanze chimiche (ecstasy, Lsd, amfetamine). Questo è quanto emerge dalla Relazione annuale al parlamento sui dati relativi allo stato delle tossicodipendenze in Italia-2016, depositata in Senato il 6 dicembre scorso, con modalità del tutto nuove rispetto al passato: prima fra tutte la decisione di non fare una vera e propria presentazione al Parlamento. Il faldone di 550 pagine firmato dall'allora Ministro Maria Elena Boschi, oggi felice Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, è stato pubblicato in formato PDF sul sito web del Senato in data 16 gennaio, e solo grazie alle proteste sollevate da Radicali italiani («un documento clandestino», lo hanno definito) e dall’Associazione Luca Coscioni, i cronisti si sono accorti della sua esistenza. Tutto cambia, niente cambia Entrambe le organizzazioni radicali accusavano infatti il governo Gentiloni di voler mettere a tacere i risultati del rapporto, che descrivono «il quadro di una situazione pressoché immutata rispetto al passato», come dice il radicale Marco Perduca, al fine di «tenere lontano dalla conoscenza dei cittadini i dati che non fanno altro che confermare i danni e l’inefficacia di leggi e metodi proibizionisti», come sostengono i colleghi di partito Riccardo Magi e Antonella Soldo. E forse un po' di ragione ce l'hanno se si pensa che, alla data in cui scriviamo, la relazione non è ancora stata caricata sul sito del Dipartimento per le Politiche Antidroga, dove tuttora campeggia in home page quella dello scorso anno. Tra gli addetti ai lavori è normale che la prima domanda sia: come mai? «Forse perché il Governo vuole tenere lontano dalla conoscenza dei cittadini i dati che non fanno altro che confermare i danni e l’inefficacia di leggi e metodi proibizionisti» rispondono i Radicali in un comunicato affidato ad Aduc. Andando oltre i soliti complottismi – che magari spesso hanno un fondo di verità ma lasciano il tempo che trovano – lo slittamento nella presentazione e le modalità con cui la Relazione è stata resa pubblica, possono essere addebitati al cambio avvenuto al vertice del nostro amatissimo DPA. Ormai orfano del celeberrimo dottor Serpelloni, il Dipartimento per le Politiche Antidroga ha infatti ora una nuova direttrice nella persona di Paola D'Avena, nominata lo scorso 20 ottobre pur non avendo alcuna voce in curriculum che la qualifichi come esperta in materia. Classe 1966, laureata in giurisprudenza, inizia giovanissima il suo percorso lavorativo all’interno delle istituzioni. Dal suo curriculum ufficiale apprendiamo che dal 2001 é Consigliere della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal 2001 al 2004 è stata la dirigente dell’ufficio legislativo del Ministro per la funzione pubblica; dal 2004 al 2008 è stata coordinatore di servizio per il Dipartimento per gli affari regionali/Servizio Relazioni internazionali, comunitarie e transfrontaliere delle regioni e degli enti locali e dal 2008 al 2013 ancora una volta è stata coordinatore di ufficio per il Dipartimento per le riforme istituzionali/Ufficio affari amministrativi, studi e relazioni esterne. Nel 2013-2014 diventa Capo Dipartimento presso l’ufficio di segreteria del Consiglio dei Ministri e dal 2014 al 2016 è ancora una volta Capo Dipartimento per le Politiche di Gestione, promozione e sviluppo delle risorse umane e strumentali. Una carriera quindi tutta all’ombra delle istituzioni, in ruoli definibili di burocrazia ed organizzazione interna, senza però mai toccare professionalmente l’ambito delle droghe e delle dipendenze: tema sul quale non è annotato nessun suo incarico, né interesse a livello di studi e ricerche. È naturalmente ancora presto per giudicare l'operato della nuova direttrice, quindi ci limiteremo a segnalare che su questa relazione Paola D'Avena non può vantare alcun credito. Tornando ai contenuti, sebbene i toni siano leggermente più moderati rispetto ai tempi d'oro della Fini-Giovanardi, è ancora possibile leggere castronerie eccezionali come il Cannabis Abuse Screening Test - CAST, ovvero una scala di screening composta da 6 domande che descrivono il comportamento d’uso o eventuali esperienze problematiche vissute a causa dell’utilizzo della sostanza. Pensato per essere utilizzato nell'analisi sui dati sulla popolazione studentesca, il test si articola attraverso le seguenti domande (si, sono davvero queste): a) Hai mai fumato cannabis prima di mezzogiorno? b) Hai mai fumato cannabis da solo? c) Hai mai avuto problemi di memoria dopo aver fumato cannabis? d) Gli amici o i tuoi familiari ti hanno mai detto che dovresti ridurre il tuo uso di cannabis? e) Hai mai provato a ridurre o a smettere di consumare cannabis senza riuscirci? f) Hai mai avuto problemi a causa del tuo uso di cannabis (discussioni, risse, incidenti, brutti voti a scuola, ecc.)?” Immaginata l'efficacia con cui la tematica del consumo e dell'abuso di cannabis viene affrontato con gli adolescenti, la relazione da però la misura dell'accanimento giudiziario tutt'ora perpetrato nei confronti della cannabis come pianta. Nell'incidenza dei dati forniti, inesorabili e impersonali, si riescono perfettamente a scorgere tutte le ignobiltà dell'imperitura guerra tutta italiana alla marijuana. Stando infatti ai numeri raccolti su tutto l'arco del 2015 i sequestri di droghe leggere sono stati definitivamente maggiori rispetto a quelli delle droghe pesanti: 67.829 kili di Hashinsh e 9.313 kili di marijuana, contro i 4.047 kili di cocaina e gli appena 767 kili di eroina. A onor del vero, rispetto al 2014, la percentuale di sequestri è scesa del 40% per l'hashish e addirittura del 73,95% per quanto riguarda la marijuana. Quello che però balza all'occhio e distrurba più di tutto è l'unico segno + apprezzabile nella tabella, ovvero quello riferito ai sequestri delle piante di cannabis. Nel 2015 le piantine sequestrate dalle forze dell'ordine sono state 138.015, il 14% in più rispetto all'anno precedente. Ora proviamo a pensare che dietro a questi numeri e percentuali ci sono in realtà centinaia di persone arrestate o perseguite penalmente, delle quali gran parte consumatori o piccoli produttori di cannabis per autoconsumo o per autoterapia, persone criminalizzate molto spesso impropriamente. Tra gli arrestati o i denunciati ci sono agricoltori di professione, pastori, assicuratori, commercianti, universitari, giornalisti e militari: tutte persone giudicabili socialmente come estranee alla criminalità sia comune che organizzata, sulle quali si scatenano la mano della giustizia e, purtroppo ancora oggi, il disprezzo della comunità, reale o virtuale che sia. Nonostante la Relazione ribadisca che il mercato delle droghe rappresenta quasi il 70% delle attività illegali e dei conseguenti introiti sottratti indebitamente alla fiscalità, le operazioni delle forze dell'ordine tendono a rivolgersi a pesci chiaramente piccoli. Il 70,4% delle denunce ha comportato lo stato di arresto ma solo nell’8% dei casi è stato contestato il reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti (articolo 74 del Testo Unico 309/90), mentre la restante quota per è stata imputata per “traffico illecito” (articolo 73). Il 63,4% delle denunce ha riguardato cittadini italiani. Tra questi il 7,2% erano donne e 4 su 100 non avevano ancora compiuto 18 anni. A questo proposito è interessante segnalare che il 99,3% dei minorenni denunciati, dovrà difendersi dal reato di “traffico/spaccio di sostanze stupefacenti”. Rispetto al 2014, gli stranieri denunciati sono invece diminuiti del 5,7%, alla faccia dei vaneggiamenti di Salvini. E mentre la vigente legge sulle droghe, la 309/90, finirà di nuovo davanti alla Corte Costituzionale per richiesta della Cassazione – che ha sollevato una questione di legittimità riguardo la pena minima prevista per lo spaccio di droghe “pesanti”, tornata più severa di quanto prevedesse la legge Fini-Giovanardi –, la politica italiana pare in tutt'altre faccende affaccendata. Della proposta dell'intergruppo non si è più sentito parlare e il governo del democristiano Gentiloni, come quello nel suo predecessore, non pare minimamente intenzionato a tirare fuori la questione. Insomma, nonostante la Relazione presenti il quadro di una situazione pressoché immutata rispetto al passato, quindi di evidente fallimento del contrasto al narcotraffico e inoltre non offre alcuna conclusione, le politiche per controllare il fenomeno rimangono fossilizzate sull'approccio che preferisce la proibizione e la penalizzazione. Noi di Soft Secrets sono anni che ripetiamo che occorre passare a una regolamentazione legale della produzione consumo e commercio di tutte le sostanze per scongiurare l’ingresso nel circuito penale di migliaia di persone, aiutarle in caso di rapporto problematico con le sostanze e per rimpinguare le casse dello Stato. Le proposte in campo ci sono, quel che manca è una chiara volontà politica di discontinuità col passato. di Giovanna Dark
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