Un medico eccezionale

Exitable
02 Jun 2014

Quest'intervista è stata realizzata in parte lo scorso dicembre, pochi giorni dopo la liberazione di Fabrizio Cinquini dal carcere di Massa, e in parte nel gennaio 2014.


Quest'intervista è stata realizzata in parte lo scorso dicembre, pochi giorni dopo la liberazione di Fabrizio Cinquini dal carcere di Massa, e in parte nel gennaio 2014.

Quest'intervista è stata realizzata in parte lo scorso dicembre, pochi giorni dopo la liberazione di  Fabrizio Cinquini dal carcere di Massa, e in parte nel gennaio 2014. 

Con Soft Secrets abbiamo raccontato la sua vicenda al momento dell'arresto, oggi che è libero ci prendiamo il giusto tempo per una conversazione che il carcere ci aveva vietato per mesi.

Per chi ancora non lo conoscesse, Cinquini è un medico toscano (fra i pochissimi medici nel nostro paese con una cultura sulle proprietà terapeutiche della cannabis) che da anni si batte per una medicina che preveda e integri nella sua offerta anche questa pianta, mentre sino ad ora, qui in Italia, nonostante dal 2007 ne sia prevista l'importazione per legge, resta relegata de facto al dominio della sperimentazione personale. 

In poche parole socrizioni che vengono negate soprattutto per una duplice ignoranza: ignoranza della legislazione vigente e ignoranza delle applicazioni curative di questa pianta. Di fatto sono i pazienti che spiegano ai propri medici di avere trovato una soluzione al proprio patire. Ma torniamo al nostro dottore.

Fabrizio soffre di epatite C (contratta in seguito ad un intervento in ambulanza) e a partire dal 2003 ha scoperto nella canapa una medicina per curare se stesso. Da quel momento, Cinquini sperimenta, ricerca e coltiva per ottenere genetiche più forti e con un contenuto curativo migliore. Prima dell'ultimo arresto stava lavorando a 277 piante, in una serra di 60 metri quadri.

A causa di questa sua ostinazione professionale, nel perseguire il benessere dei pazienti a prescindere dalla legge vigente, ha subito nel corso degli anni numerose carcerazioni e prolungati periodi di detenzione domiciliare.

Le prime domande ovviamente si interessano della sua condizione personale, in seguito al periodo di privazione della libertà. Un preambolo doveroso, essendo le carceri del nostro paese fra le più sovraffollate e disumane di Europa. Carceri piene di persone che sono in stato di arresto per coltivazione o detenzione di canapa, persone che non avrebbero nulla a che spartire con la dimensione carceraria e alle quali questa intervista è dedicata.

Come stai Fabrizio? Nei 153 giorni di detenzione che hai subito, hai cambiato tre differenti strutture detentive molto differenti fra loro. Vuoi raccontarci qualcosa?

Sto bene. Massa è stata una buona esperienza: un carcere dove il tentativo di distrazione dalla noia mortale alla quale si è condannati funziona: facevo teatro, scuola da lunedì a venerdì e addirittura yoga una volta alla settimana. Nell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario (OPG) ci saranno stati 120 -150 detenuti. Le condizioni, nonostante il sovraffollamento, erano buone, con un buona presenza medica. Infine Lucca. Il carcere di Lucca è una fogna, non meriterebbero nemmeno l'idoneità per la lombricultura. Per me è scioccante in base a quali criteri il direttore Asl abbia dato l'idoneità sanitaria.

La sentenza di primo grado ti condanna a 6 anni con obbligo di dimora nel comune di residenza e 30.000 euro di multa e interdizione perpetua dai pubblici uffici. Come ti senti di commentare tale decisione del tribunale?
Secondo me questa sentenza rappresenta una sconfitta sociale oltre che personale: ancora una volta si dimostra come gli interessi della lobby dei farmaci che agisce direttamente, con la pubblicità televisiva per raggiungere i pazienti, e indirettamente con l'azione dei comitati scientifici che condizionano le decisioni del Ministero della Salute, prevarichino i principi costituzionali. In particolare vedo la pena come sproporzionata, visto che le forze dell'ordine erano state messe da me a conoscenza, già nel 2008, della presenza di questa coltivazione.
Allora perché non ti hanno arrestato prima?
Perché, finché non arriva una segnalazione da terzi, le autodenunce non vengono considerate se non a livello di mitomania. E comunque mi avevano già arrestato 4 volte in precedenza, sempre per coltivazione. 
Quale obbiettivo volevi ottenere con questa serra?
Volevo produrre una tonnellata di semi di un particolare ceppo di canapa medica dal nome Cannatonic, a mio parere di indubbia efficacia come anti-neoplastico in parallelo all'assunzione di chemioterapia. Da un lato la mia idea era di utilizzare parte delle semenze per diffondere in Spagna il mio ibrido in cessione gratuita a colleghi ricercatori che possono lavorare con più libertà e possono sperimentarla sui loro casi e, dall'altro lato, garantire con questo passaggio, maggiori possibilità di sopravvivenza alla genetica stessa. 
Parlaci meglio di questa genetica medica.
Abbiamo alzato il CBD sminuendo l'effetto psicoattivo e incrementando l'effetto anti infiammatorio periferico. La Cannatonic ha un rapporto più o meno di 1 a 1 fra THC e CBD ed è stata prodotta incrociando da un lato, la pianta Sativa anticamente da fibra con basso contenuto di THC e dall'altro, ceppi selvatici di Ruderalis dell'Alaska e della Siberia.
La tua attività non è assimilabile al traffico o allo spaccio. Tu coltivi per accrescere le potenzialità terapeutiche delle genetiche che utilizzi, perché a tuo parere sei stato condannato?

Sono stato condannato perché i giudici hanno valutato che il quantitativo da me prodotto era troppo alto per essere calcolato come personale. E questo nonostante il fatto che per eseguire una bella selezione, dignitosa e di alto livello, nell'ottica di produrre semi di qualità, il minimo di piante che servono siano almeno un migliaio.
E ora? Che ti aspetti per il futuro dal punto di vista dei tribunali? Credi di ricorrere in appello?
Adesso la battaglia giudiziaria continua e spero di poter trovare un magistrato sufficientemente coraggioso per sottoporre la decisione al vaglio della Corte Costituzionale, cosa che in primo grado non è stata ritenuta plausibile proprio perché il giudice ha ritenuto la quantità non riconducibile all'uso personale, ma eccessivo perché calcolato su un dosaggio di 0,025 grammi. Questa dose però è arbitraria e decretata in modo politico, di certo non scientifico. Infatti, per decretarla in maniera scientifica, dovresti avere un feeedback dai pazienti che possano confermare a che dosaggio dominano i sintomi e con quale altro riescono a curare definitivamente la patologia, se rientra in quelle curabili definitivamente. Come hanno avuto i tossicologi forensi l'informazione che sia questa la dose? Mi sembra una valutazione che non nasce da un iter di studio e di verifica,  considerando anche il fatto che questa dose non venga mai specificata con una valutazione della massa e superficie corporea che incontra, l'età, il sesso, il peso, e sul periodo di durata dell'effetto in seguito all'assunzione. Io conosco casi di sclerosi multipla che hanno necessità di 150 gr di principio attivo (5-6 etti di prodotto grezzo) e ci vanno avanti tutto l'anno e altri casi, ad esempio un trapiantato di cuore, che necessita 10 gr di principio attivo al giorno che significa un po' più di 3 kg e mezzo all'anno. 
E nel tuo caso personale?
Dal canto mio, in un contesto di epatite C come nel mio caso, presumo, visto che non ho mai avuto occasione di potermi somministrare il dosaggio idoneo per un lungo periodo, la dose terapeutica sia dai 3-5 grammi di principio attivo al giorno. Dose però, che varia a seconda delle patologie e dell'alimentazione. Secondo me la somministrazione ideale è quella inalatoria con vaporizzatori a bassa temperatura perché si evita la formazione dei prodotti nocivi scaturiti dalla combustione, o per via alimentare visto che il valore nutrizionale dei semi di canapa, dell'olio e del germoglio, prima che sviluppi cellulosa, è altissimo.
Come si potrebbe rendere l'accesso a questa medicina veramente a misura di paziente?
Da una parte bisognerebbe servirsi dell'ASL e del Sistema Sanitario Nazionale (SSN) per poter disporre di una distribuzione capillare immediata su tutto il territorio e delegare la produzione alle facoltà di agraria, agli orti botanici e agli istituti farmaceutici militari. Dall'altro lato bisognerebbe incentivare e stimolare i pazienti a intraprendere una carriera personale di produzione, così che possano dialogare ed ispirare le ASL e i produttori nazionali sulle scelte da perseguire. Al paziente stesso dovrebbe essere lasciata la libertà di decidere se nel suo caso specifico sia più efficace la canapa prodotta dagli organi preposti o quella auto prodotta.
Come medico non credi che sia pericoloso lasciare ai pazienti questa libertà?
Io sono convinto che la situazione attuale debba essere invertita. Oggi abbiamo una piramide dove al culmine sta la classe politica, sotto la classe medica e per ultimi i pazienti. I medici sono su un piedistallo ed i pazienti stanno sotto. Questo rapporto si deve invertire: è il paziente che dal ruolo di ultima ruota del carro deve passare al ruolo di timoniere. Il medico non può conoscere meglio del paziente il suo stato di salute ideale (lo può conoscere solo in termini astratti relativi) perché si basa su troppi principi che esulano dal quadro fisico contingente e che invece fanno la differenza, penso alla dimensione psicologica, sociale, spirituale ed animica. Il fatto è che i medici di oggi sono troppo concentrati sulla malattia e poco sul malato stesso. 
Grazie alla tua esperienza tu rappresenti nel nostro paese una persona con un punto di vista privilegiato. Sei un paziente che si cura con la canapa, sei un medico che ne conosce le potenzialità curative e un ricercatore che sperimenta attivamente per potenziarle. Alla luce di questa tua posizione, come auspichi che si possa affrontare la regolarizzazione della canapa terapeutica, fra la libertà dei pazienti e l'azione di lobby delle case farmaceutiche?
Visto che in medicina non si butta via nulla, alla luce della mia triplice esperienza, vorrei che il trattamento dei principi attivi naturali e cioè della pianta stessa, che si può coltivare nell'orto, divenisse di gestione diretta da parte del paziente, primo perché non ha mai ucciso nessuno e secondo perché, come dicevo prima, meglio del paziente stesso nessuno può testimoniare l'efficacia o inefficacia di colui che la sperimenta su se stesso. Lascerei in mano alle lobby del farmaco tutto lo sviluppo degli antidoti collegati alle proprietà di questa pianta, in particolare penso alla molecola che inibisce la fame, o a quella che stimola la memoria a breve termine, queste sono le più interessanti.
Grazie Fabrizio, per il tuo coraggio e la tua ostinata coerenza. Lasciamoci con un'ultima domanda. Se dovessi fare un bilancio, fra ricerca e arresti, come ti percepisci alla luce della tua carriera professionale?
Sento di fare un bilancio fra gli occhi di mia nonna, che diceva che ero un imbecille, e quelli di mio nonno, che invece diceva che ero un genio.
E
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