Dopo 20 anni il reggae sardo dei Train to Roots è Ancora Qui

Marco Ribechi
08 Feb 2024

La band festeggia due decenni di attività con un nuovo album capace di rappresentare fino in fondo l’anima del gruppo, anche grazie al sound ottenuto in uno studio di Alghero dove sono state raffinate tutte le fasi di elaborazione e registrazione. Il cantante Bujumannu: "Abbiamo fatto ciò che amiamo e per cui crediamo di essere nati, le emozioni sono il carbone dei Train to Roots"


Venti anni di carriera e sette album all’attivo per una band che ha il reggae nelle viscere.

I sardi Train to Roots tornano sulle scene dopo cinque anni di inattività e lo fanno lanciando un album tutto da scoprire, capace di attingere alle atmosfere delle radici del genere mescolandole anche in accoppiamenti inediti ma decisamente riusciti, come quello con la lingua sarda.

L'album

Si chiama "Ancora qui", contiene 11 pezzi e rappresenta perfettamente lo spirito del gruppo e la sua attitudine verso un presente che probabilmente non è il migliore dei mondi possibili. «Dopo una lunga pausa, dovuta a tutto ciò che è successo negli ultimi anni - spiega il cantante Bujumannu - avevamo una grandissima voglia di suonare. Eravamo indecisi su quale strada prendere, su come andare avanti. Allora abbiamo deciso di fare semplicemente ciò che ci piace, ciò che ci fa star bene e ci emoziona. Ecco spiegato il titolo dell’album, nonostante tutto siamo Ancora Qui, abbiamo ancora la possibilità di dire la nostra e per questo siamo felici ed orgogliosi».

Registrato interamente alla Roble Studio di Alghero ha proprio nell’attenzione al sound uno dei suoi punti forti. «Ogni suono che si sente nell’album è stato suonato dal vivo perché lo studio era pieno di strumenti vintage che abbiamo deciso di utilizzare - continuano i Train to Roots - come ad esempio mandolini, delay a nastro, Korg, Farfisa, bassi storici. Al giorno d’oggi tutto può essere riprodotto elettronicamente ma lo strumento suonato riesce a dare quel tocco di calore in più che intercetta proprio il nostro gusto roots». 

Inoltre, l’album è stato firmato anche dalla collaborazione con il produttore italiano residente a Londra Gaudì, nome noto del settore.

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La lingua sarda

Da sottolineare anche il pezzo Paxi il cui testo è tratto da una poesia della poetessa sarda Teresa Paoloni Piredda.

Proprio il sardo è molto forte nell’identità della band e alcuni testi sono cantanti in questa lingua. «La nostra formazione copre l’intera Sardegna - continua Bujumannu - Nuoro, Sassari, Cagliari. Quindi è inevitabile utilizzare la lingua che parliamo quotidianamente anche nelle nostre produzioni. Il sardo è musicale, difficile soprattutto nella grammatica che richiede molta attenzione, anche nelle pronunce. Noi cerchiamo di utilizzare diversi dialetti sardi, dando molta importanza ai testi».

La band proprio quest’anno compie i suoi primi 20 anni dal lontano 2004, anno della fondazione. Poi, nel 2006, la consacrazione con la vittoria del Rototom e molti concerti in Spagna e in Europa.

Il messaggio

«Ormai siamo dei veterani - proseguono i Train - e forse il reggae non va più così di moda come quando abbiamo iniziato. Però ci piace il suo messaggio, questo genere parla di pace, di unione, di amore, dei diritti di tutti gli esseri viventi ed è capace di cambiare le persone. Oggi le giovani generazioni sono purtroppo abituate a musica usa e getta mentre del reggae quello che resterà per sempre è la sua filosofia. Spesso ci piace notare come ai nostri concerti ci sia anche il passaggio generazionale, padri che portano i figli e si divertono insieme. Anche per loro siamo Ancora Qui».

Legalizzazione

Sul tema della legalizzazione anche la posizione dei Train to Roots è chiara: «È strano vedere come tutto il mondo si stia aprendo verso questa pianta mentre l’Italia continua a chiudersi - spiega il cantante - Addirittura qui in Sardegna è perseguitato chi coltiva il Cbd, diventa impossibile perché poi si rischia il carcere quando si cerca di lavorarlo. Io stesso avevo un brand di Cbd chiamato Bujumandarin ma ho dovuto mollare. Ci sono dei precedenti, centinaia di aziende denunciate, terreni abbandonati. Invece poterla piantare deve essere un diritto e una scelta libera per tutti. Noi ci siamo con il nostro messaggio di libertà, siamo Ancora Qui». 

 

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Marco Ribechi